L’uomo, nello stato creativo, è tratto fuori di se stesso.
E’ come se facesse scendere un secchio nel proprio subcosciente
e tirasse su qualche cosa che normalmente è fuori della sua portata.
Edward Morgan Forster
PERCORSI FRA MENTE, CULTURE E OPERE
La mente umana è una paradossale, ma straordinaria, unitas multiplex caratterizzata da vincoli e da possibilità. Nell’essere umano i vincoli familiari, in primo luogo i complessi familiari, plasmano gli istinti naturali biologici. Le relazioni sono caratterizzate da regole e vincoli affettivi della parentela che strutturano i processi rappresentativi e simbolici dello psichismo. L’ordine simbolico - costituito dalle regole culturali familiari - fa dell’uomo un animale fondamentalmente strutturato dal linguaggio (dalla semiosi, dalla comunicazione), che determina le forme e i comportamenti del suo legame sociale. L’ordine simbolico è culturale e governa le dinamiche relazionali triangolari fra il figlio e le funzioni materna e paterna.
Le relazioni oggettuali e i complessi familiari sono dunque gli organizzatori dello sviluppo psichico, ossia della struttura del soggetto, la cui personalità è un prodotto culturale.
L’essere umano, a causa dell’immaturità bio-psichica alla nascita (neotenìa), dapprima vive una posizione decentrata verso la madre, in un rapporto duale, e poi una relazione triangolare con il padre e con gli adulti che lo accudiscono. Ciò costituisce un vincolo bio-psichico, ma è anche un’opportunità nella misura in cui scandisce lo sviluppo della mente relazionale, della comunicazione, dei processi astrattivi e culturali, che sono tipicamente umani. Jacques Lacan ha osservato: “Ancor prima che si stabiliscano relazioni che siano propriamente umane, certi rapporti sono già determinati [dai significanti che] organizzano in modo inaugurale i rapporti umani, ne costituiscono le strutture, li modellano”. Theodor Reik, allievo di Freud, aveva precisato che il bambino è osservato dallo sguardo degli altri significativi (genitori o caregiver) e “il tu è più antico dell’Io”. Sono i genitori a considerare il bambino come un Io. La coscienza del proprio Io dipende dagli Altri che lo considerano come un Io e lo nominano.
I concetti di rêverie e di holding, introdotti dagli psicoanalisti W. R. Bion e D. Winnicot, sottolineano la funzione contenitiva, di contatto sensoriale, riflessiva e strutturante del caregiver. Nel primario rapporto duale il bambino si aggrappa alla madre che, a sua volta, lo contiene, svolgendo la funzione di Io supplementare, di "ambiente" facilitante, di "altro" Sè del bambino. Il figlio, in questo legame affettivo-cognitivo, si sente esistere e si costruisce nella mente dell’altro significativo. La madre vede e pensa il suo piccolo; lo mentalizza regolando e trasformandone gli stati emotivi grezzi e i processi cognitivi. Il bambino vede se esiste nello sguardo e nei pensieri della madre, identificandosi con le rappresentazioni che essa ha di lui e costruendo il suo mondo interno ed esterno, ossia la sua mente. Le difficoltà che possono intervenire durante questa fase di attaccamento/accudimento o nel successivo processo di separazione e soggettivazione determinano l’insorgenza di sintomi psichici, inibizioni e interazioni disfunzionali che mettono a rischio il benessere mentale della persona, le sue relazioni, il suo posto nel mondo, il suo pensiero.
Questo sviluppo sociale delle relazioni primarie, sostenuto dalla singolare comunicazione e inclusione nel sistema di vincoli familiari, ha permesso agli esseri umani di esprimere una molteplicità pressoché infinita di comportamenti adattivi, di sistemi culturali e di produzioni creative.
Ciò ha comportato problemi metodologici di studio dei fenomeni psichici e socio-culturali. Clifford Geertz, in Antropologia interpretativa, afferma che la mente umana appare unica e universale a coloro che studiano con metodo strutturale e comparativo le sue funzioni e i suoi processi (metodo etic), mentre a quelli che studiano le sue manifestazioni locali risulta invece straordinariamente molteplice nei suoi diversi idiomi (metodo emic). Secondo l’approccio “binoculare” alla psicologia delle culture (Luigi Anolli), si può affermare che le strutture psichiche hanno carattere universale, mentre le soluzioni socio-culturali, essendo storiche e contestuali, assumono forme differenziate e variabili.
Lo studio delle etnoculture ha mostrato che l’ordine simbolico (legge dell’esogamia per esempio) regola i legami di parentela, ma nel contesto delle forme locali di circolazione delle donne, dello scambio dei beni e degli animali. La cultura locale condivisa esprime, altresì, le forme dei patti di alleanza, i miti, i rituali religiosi, la prescrizione dei sacrifici, le proibizioni, i tabù, ecc.
La cultura - sia nelle società attuali sia nel mondo antico - è una costruzione collettiva condivisa. Il linguaggio e gli artefatti culturali, secondo la psicologia storico-culturale della scuola di L. S. Vygotsky, sono prodotti dalla mente e stimolano la mente, in un processo circolare. Tali artefatti e pratiche discorsive possono essere genericamente sintetizzabili in:
- artefatti mentali: modelli familiari cognitivo-affettivi, significati, simboli, concetti
- artefatti sociali: istituzioni e organizzazione sociale, religioni, diritto, ideologie, credenze
- artefatti materiali: tecniche, strumenti, tipi di lavoro, produzione di oggetti e manufatti
- artefatti espressivi: arte visiva, musica, danza, architettura, scrittura, letteratura, moda
Le intenzioni, l’immaginazione e le significazioni si traducono in azioni e opere. Nelle opere è la mente degli uomini, afferma lo psicologo storico Ignace Meyerson, maestro di Jean-Pierre Vernant. Nelle opere infatti il pensiero si esteriorizza, si proietta e si oggettiva (I. Meyerson, Psicologia storica. Le funzioni psicologiche e le opere). Una consapevolezza che già era stata espressa da Plotino (Enneadi, V, 8, 1): La forma non è nella pietra, è nell’artefice prima di trasporsi nella pietra.
Le espressioni della mente, le sue oggettivazioni, si realizzano nella storia, nella società e mediante la comunicazione, che può essere verbale e non verbale. La comunicazione non verbale può essere figurativa, cioè iconica. Un’opera d’arte è il prodotto della mente dell’artista, in connessione con la sua specifica cultura di appartenenza e con lo specifico contesto storico. La creazione artistica è un’esperienza straordinaria, nel senso che va oltre il limite dell’ordinario, poiché mette in forma figurazioni inconsce. Gli artisti, meglio di tutti, raggiungono luoghi oscuri della mente dove si formano abbozzi rappresentabili di emozioni sconosciute. Picasso diceva che creando scopriva parti sconosciute di sé e che le sue opere potevano renderle visibili.
L’opera, d’altro canto, va incontro alle oscillazioni del gusto, mediante un giudizio squisitamente soggettivo che coinvolge emotivamente e cognitivamente il fruitore, facendola apprezzare oppure non gradirla affatto. L’esperienza estetica è una funzione della mente relazionale, che stimola nel fruitore processi conoscitivi. La relazione fra opera d’arte e osservatore sospende temporaneamente il tempo cronologico, trasportando il soggetto in una dimensione altra. L’esperienza estetica non solo induce uno stato di coscienza alterato, ma fa affiorare l’amore per la conoscenza della condizione esistenziale del soggetto.
I linguaggi della psiche sono molteplici. Il pensiero individuale e collettivo si oggettiva in opere che possono avere un valore culturale (Bene). I Beni Culturali archeologici, storico-artistici ed etno-antropologici sono, di per sé, complessi e pongono vari enigmi, poiché sono il prodotto della mente e della cultura dell’uomo. Un manufatto - scultura, affresco, architettura, ceramica vascolare, pittura, iconografia sacra - un rito religioso o una danza sono densi di segni che esprimono ed evocano messaggi, idee, valori. Come tali vanno “letti”, interpretati e compresi attraverso percorsi di ricerca che aiutino a ricostruirne lo specifico sistema di significazione, ovvero le dinamiche psichiche, relazionali e i contesti storico-culturali.